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Il segreto per superare le difficoltà: trovare il senso della propria vita

3 anni ago · · Commenti disabilitati su Il segreto per superare le difficoltà: trovare il senso della propria vita

Il segreto per superare le difficoltà: trovare il senso della propria vita

La vita, qualche volta, ci pone di fronte a situazioni particolarmente difficili e dolorose. Ed è proprio in tali occasioni che ci troviamo a riflettere sul senso della vita stessa, sul senso della sofferenza. Quando non siamo in grado di cambiare una situazione, quando viviamo l’amara consapevolezza della nostra impotenza perché non possiamo modificare la realtà esterna, ci troviamo di fronte ad una grande sfida: la possibilità di cambiare noi stessi, di modificare il nostro atteggiamento di fronte alle avversità.

“Uno psicologo nei lager” è un’opera in cui Viktor Frankl, psichiatra e psicoterapeuta, racconta la sua esperienza di prigioniero nei campi di concentramento durante la seconda guerra mondiale. È un libro crudo, dai contenuti molto forti, il cui valore storico è inestimabile. La sua originalità e bellezza risiedono nel fatto che non è solo un resoconto sulle atrocità dei lager, ma un saggio sul senso della vita e dell’esistenza umana.

Il punto di vista da cui è osservata la tragedia dei campi di sterminio è quello di uno psicoterapeuta che si interroga su ciò che accade attorno a lui, alla ricerca dei meccanismi psicologici in grado di spiegare i comportamenti che osserva. Il racconto, di straordinaria qualità narrativa, rappresenta una lucida analisi dei vissuti, delle emozioni e dei sentimenti delle vittime dei campi di sterminio. Come si sente un essere umano nella situazione di «non avere più nulla da perdere, tranne questa vita così ridicolmente nuda»? Cosa succede alla sua mente? Come si difende? Come sopporta? Cosa desidera?

Dopo la fase iniziale dello shock dell’accettazione della propria condizione di sudditanza alla disumanità del lager, sopraggiunge la seconda fase caratterizzata da apatia, indifferenza, insensibilità, considerati meccanismi di difesa della psiche indispensabili per sopravvivere, perché minimizzano la verità che altrimenti sarebbe inaccettabile. Emerge poi la riscoperta dell’interiorità, della religione, dell’amore, dell’arte e della bellezza della natura. Aneddoti, riflessioni, vignette di straordinaria umanità si susseguono, accompagnando il lettore in un processo di comprensione della psiche e dei sentimenti umani nell’irripetibile e terrificante ambiente del lager.

La tragedia del prigioniero diviene così strumento di conoscenza del senso di una vita negata, dell’interiorità e dell’amore, riscoperto nel suo significato salvifico: “Per la prima volta nella mia vita, provo la verità di ciò che per molti pensatori è stato il culmine della saggezza, di ciò che molti poeti hanno cantato; sperimento in me la verità che l’amore è, in un certo senso, il punto finale, il più alto, al quale l’essere umano possa innalzarsi. Comprendo ora il senso del segreto più sublime che la poesia, il pensiero umano ed anche la fede possono offrire: la salvezza delle creature attraverso l’amore e nell’amore! Capisco che l’uomo, anche quando non gli resta niente in questo mondo, può sperimentare la beatitudine suprema – sia pure per qualche attimo – nella contemplazione dell’essere amato”.

La riscoperta dell’interiorità conduce l’autore a riflettere su cosa renda possibile la sopravvivenza in un campo di concentramento. Durante gli anni passati nei lager, Frankl aveva notato come i prigionieri che riuscivano a non soccombere erano coloro che avevano uno scopo da realizzare fuori da quell’inferno. Chi, invece, non aveva alcun motivo forte e chiaro per resistere e portare a termine una missione personale era destinato quasi sempre alla morte.

Per poter sopravvivere all’esperienza estrema del campo di concentramento, l’unica possibilità era essere proiettati nel futuro: “l’uomo può esistere solo nella visuale del futuro”.
“Chi invece non sa credere più nel futuro, nel suo futuro, in un campo di concentramento è perduto”.

Secondo Frankl solo chi aveva qualcosa che lo aspettava fuori dal lager (un progetto, una persona amata) aveva la possibilità di sopravvivere alle condizioni disumane di vita cui era sottoposto.

L’autore spiega:
“Tutti gli sforzi psicoterapeutici e d’igiene mentale rivolti ai detenuti dovrebbero obbedire a un motto, espresso con grande chiarezza nelle parole di Nietzsche: «Chi ha un perché nella vita sopporta quasi ogni come». Si doveva dunque, quando si presentava una buona occasione, qualche volta, qua e là, chiarire agli internati il “perché” della loro vita per far sì che fossero interiormente all’altezza del terribile “come” del loro presente, degli spaventi di una vita nel Lager, affinché potessero affrontare tutto con coraggio. E viceversa: guai a chi non trovava più uno scopo di vita, non aveva un contenuto di vita, non scorgeva nessuno scopo nella sua esistenza; svaniva il significato del suo essere, perdeva ogni senso anche la resistenza.”

“Chi ha un perché per vivere, sopporta quasi ogni come”
Friedrich Wilhelm Nietzsche

Viktor Frankl, come milioni di altri ebrei, fu spogliato di tutto tranne che della sua nuda esistenza. Non possedeva più nulla, nemmeno un nome: era diventato un semplice numero. C’era però una cosa che nessuno poteva togliergli, nemmeno il più crudele dei suoi aguzzini: il senso della sua esistenza.

“Tutto può essere tolto a un uomo a eccezione di una cosa: l’ultima delle libertà umane: poter scegliere il proprio atteggiamento in ogni determinata situazione, anche se solo per pochi secondi”.

L’autore mette l’accento su come, di fronte ad ogni sofferenza, anche quella più estrema, l’uomo debba giungere alla consapevolezza di essere unico e originale in tutto l’universo, con il suo destino e il suo dolore. Nessuno può assumere questa sofferenza al  suo posto. La possibilità di un’esistenza originale sta proprio nel “come” l’individuo, colpito da questo destino, sopporta i suoi affanni.

“L’essere indispensabile e insostituibile, tipici d’ogni individuo, fanno apparire nella giusta misura, non appena affiorano nella coscienza, la responsabilità che un uomo ha della sua vita, lo incitano a continuare a vivere. Un uomo pienamente consapevole di questa responsabilità nei confronti dell’opera che l’attende o della persona che lo ama e che l’aspetta, non potrà mai gettar via la sua esistenza. Egli sa bene il «perché» della sua vita – e quindi saprà sopportare quasi tutti i «come».”

Il fondamentale insegnamento nascosto tra le righe di questo libro è che la sofferenza fa parte della vita, non è evitabile, e come tale va accettata. “Se vivere è sofferenza, sopravvivere è trovare il senso a questa sofferenza.”

Per sopravvivere ai momenti più difficili della vita è importante, quindi, trovare il senso della propria esistenza, dare un senso al proprio dolore.
Non esiste un significato universale, ogni individuo deve ricercare il proprio significato che sarà unico e diverso da qualsiasi altra persona, perché espressione della sua vita e della sua storia.

Nelle difficoltà che incontriamo ogni giorno dovremmo ricordarci sempre che la vera libertà risiede nel modo in cui decidiamo di affrontare quello che ci accade.
Possiamo sempre scegliere se reagire con amore oppure con mancanza di amore. Possiamo sempre fare una scelta tra il desiderio di continuare a vivere nonostante tutto e l’arrendevolezza di chi è già morto dentro. Possiamo scegliere se arrenderci alla disperazione oppure trovare un po’ di meraviglia e calore in un tramonto su un lager. Possiamo sempre scegliere se abbandonarci alla sofferenza e alla morte, oppure reagire cercando l’amore per noi stessi, per le persone che ci circondano, per la natura.

Concludo, lasciando la parola a Viktor Frankl, riportando uno dei passaggi più intensi e poetici del suo libro, con l’augurio che ogni individuo possa intraprendere un viaggio personale e profondo alla scoperta di se stesso e del senso della propria esistenza.

“E accadde una volta che, di sera, mentre stanchi morti dopo il lavoro ci eravamo già sdraiati per terra, nelle baracche, con la ciotola della minestra in mano, un compagno entrò a precipizio, invitandoci a uscire sullo spiazzo dell’appello, nonostante la stanchezza e il freddo di fuori, perché non dovevamo perdere lo spettacolo di un certo tramonto. E quando, usciti fuori, vedemmo le scure nubi rosseggianti, a occidente, e tutto l’orizzonte animato da nubi multicolore sempre mutevoli, con le loro figure fantastiche ed i loro colori ultraterreni, dall’azzurro cobalto al rosso sangue, e sotto, in contrasto, le tristi capanne di terra del Lager e il paludoso spiazzo dell’appello, nelle pozzanghere del quale si specchiava la bragia del cielo, allora, dopo alcuni minuti di silenzio rapito, qualcuno disse: “Come potrebbe essere bello il mondo!”.

Articolo a cura della Dott.ssa Elisa Terren
Psicologa Psicoterapeuta a Mirano e Mestre

Lettura consigliata: “Uno psicologo nei lager” di Viktor Frankl